Fuga dal Servizio Sanitario: sono 6 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi

La Finanziaria 2024, voluta dal governo Meloni, ha ridotto al 6,1% del Pil la spesa per la sanità pubblica, quando la media europea si attesta al 7% e la percentuale dei Paesi con i quali siamo soliti confrontarci, Francia e Germania, si trova al 10% (dati Fondazione Gimbe). Non solo, il governo ha ridotto di 1/3 le risorse del Pnrr destinate alla sanità pubblica, con gravi conseguenze su progetti di costruzione di Case e Ospedali di Comunità.

Si tratta di provvedimenti che da una parte riducono le risorse a fronte di un progressivo invecchiamento della popolazione, e dall’altra allontanano le fasce più deboli della popolazione non in grado di pagare i ticket. In tal modo limitano pesantemente la capacità del Servizio sanitario nazionale (Ssn) di soddisfare i principi di universalità, eguaglianza, equità, sanciti dall’art. 32 della Costituzione, che lo contraddistinguono sin dal 1978, anno in cui è nato, su proposta dell’allora ministro della Salute Tina Anselmi.


Istituto Piepoli, indagine 2023 – Fondazione Gimbe

Secondo un’indagine dell’istituto di ricerca Piepoli, condotta nell’autunno del 2023 su un campione di mille persone per conto della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi, sono circa 6 milioni gli italiani che non si curano quando i costi non sono coperti dal Servizio sanitario nazionale, mentre circa l’11% del campione preferisce utilizzare le assicurazioni sanitarie. Sempre l’indagine di Piepoli rileva che secondo il 90% degli italiani la Sanità deve essere al primo posto nella legge finanziaria o tra le priorità principali del Governo e per il 76%, cioè più di tre italiani su quattro, la sanità deve essere pubblica.

Banca d’Italia in una recente indagine ha reso noto che la spesa per la sanità privata in Italia è pari a circa 36 miliardi, in gran parte direttamente a carico delle famiglie e il resto è intermediato da fondi assicurativi, casse, polizze di assicurazione.
Le interminabili liste di attesa per visite specialistiche, esami e operazioni, inducono le persone a rivolgersi sempre più al privato e a stipulare polizze malattia, infortuni e Long Term Care (polizza che copre i costi a persone non autosufficienti).
Ciò determina insopportabili disuguaglianze perché, naturalmente, può accedere alle polizze chi può permetterselo e purtroppo assistiamo, per contro, all’inaccettabile fenomeno della rinuncia alle cure da parte di un crescente numero di persone.

Nel 2022 gli assicurati con polizze collettive e individuali erano 20 milioni. Le quote di adesione alle polizze sanitarie aumentano con il crescere dei livelli d’istruzione e reddito (40% laurea, 35% diploma, 14% scuola media) con differenze tra le principali aree geografiche (40% nord ovest, 27% nord est, 5% sud e isole). Inoltre, con riferimento ai dati di fonte Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), i premi relativi alle polizze malattia ammontano a 4 miliardi di euro. Una cifra a cui bisogna aggiungere quella considerevole, intermediata da ben 24 Società di Mutuo Soccorso.

Occorre ricordare però che le polizze spesso contengono norme che escludono il rimborso a fronte di spese sanitarie particolari, sostenute dall’assicurato. Tali condizioni sono previste all’interno delle numerosissime clausole che difficilmente gli utenti leggono, come per esempio quella che stabilisce un limite di età oltre il quale non è rimborsata la spesa sanitaria. Oppure il sinistro non è rimborsato quando si tratta di patologie pregresse, antecedenti la stipula della polizza. Infine, l’assicurazione può interrompere il contratto diventato a suo giudizio troppo oneroso.

Claudio Calerio

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