Hikikomori: mi ritiro in camera perché ho paura di vivere

Hikikomori: i giovani che scelgono l’isolamento volontario

Chi sono gli hikikomori, i ragazzi socialmente ritirati? E che cosa fanno per loro le istituzioni? Ne hanno parlato di recente i rappresentanti di alcune associazioni lombarde – Hikikomori Italia, Su la Testa e Piccolo Principe – interessate a questo preoccupante fenomeno, durante il convegno da loro promosso a Palazzo Pirelli alla presenza di Ester Lanfranchi, consigliera per le Pari Opportunità di Regione Lombardia, e del consigliere regionale Pietro Bussolati.

Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”, e che oggi indica la fascia di giovani in isolamento volontario. È un fenomeno apparso negli anni ‘80 in Giappone e affiorato in Italia negli anni 2000 fino a interessare più di 60mila adolescenti, secondo una ricerca dell’Istituto Superiore di Santità.

«Sono ragazzi dai 13 ai 15 anni – ma recentemente la fascia si è ampliata dagli 11 fino ai 17 anni, e addirittura oltre – che non presentano alcuna patologia, che volontariamente non escono dalla loro camera nemmeno per i pasti in famiglia, abbandonano la scuola e ogni altra attività, e sono incapaci di stabilire qualsiasi rapporto diretto e reale con i coetanei», risponde Edoardo Pessina, psicoterapeuta milanese. «Non è una malattia mentale: sono ragazzi normali che a volte i genitori considerano pigri o viziati. Spesso sono brillanti negli studi e molto più intelligenti della media, eppure si chiudono in camera con il computer e cominciano a vivere in un mondo digitale, parallelo. Si riempiono la vita con Internet, programmano videogiochi e non sono propriamente isolati perché hanno relazioni intense su chat, con esperti, personaggi, influencer. In loro c’è un forte sviluppo dell’area intellettuale, ma manca completamente la corporeità della relazione viva, l’esserci. Rifiutano il rischio collegato al contatto con gli altri».

Gli hikikomori perdono la relazione con il tempo, anzi, si impegnano proprio a non averla grazie a un’inversione del giorno con la notte: «Non si confrontano con nessuno e non soffrono: vivono una situazione tranquilla, quando non pensano al futuro. Certo, è una tranquillità non felice, un patto col diavolo: si negano di essere felici. Il desiderio è atrofizzato, il presente è eterno. E ci sono difficoltà in famiglia, come per i normali momenti festivi e conviviali. Spesso è la madre a capire per prima la necessità di una diagnosi psicologica: dietro comportamenti del genere ci può essere una depressione, o un disturbo ossessivo-complusivo. Che si può trattare, se preso per tempo».

«La scuola è inadeguata mentre dovrebbe raccogliere la sfida – spiega Patrizia Corbo, presidente dell’associazione Piccolo Principe –, vederli come persone in formazione, in un momento prezioso della vita umana. E invece oggi l’adolescente è un narciso: per la cultura dominante deve essere il numero 1, il più bello, il più figo, ma dentro è disperato, non ha il senso della vita e del futuro che appare come un campo minato, insensato, che fa paura.

Gli stessi adulti faticano a trovarlo: sono spariti i valori di un tempo, la religione, la coesione e la forza della famiglia. Si cerca l’eterna gioventù, si aborre la vecchiaia. I ragazzi non trovano risposte dagli adulti, hanno paura di non farcela, di non essere all’altezza dei propri sogni e per questo preferiscono ritrarsi dalla vita e chiudersi in camera. Abbiamo bisogno di psicoterapeuti che li aiutino a tornare a riva, ma tutti dobbiamo lavorare sul ritrovare il senso dell’esistenza, la speranza, il sogno. L’identità si costruisce con il contatto, è fatta da relazioni, prossimità. Ma è necessario fare rete tutti insieme, famiglia, scuola, istituzioni».

Per adesso, purtroppo, le famiglie non sanno a chi rivolgersi: lamentano una frammentazione di servizi, causa di grande malessere. «In Lombardia sono coinvolti circa 300 nuclei familiari con genitori già consapevoli – spiegano i responsabili di Hikikomori Italia, la prima associazione nata in Italia nel 2017 grazie allo psicologo del sociale Marco Crepaldi –. Noi proponiamo gruppi di Autoaiuto con la partecipazione di tutta la famiglia. L’hikikomori infatti non chiede aiuto, diventa invisibile: i genitori devono lavorare su se stessi e sulla famiglia, e prendere contatto con il territorio».

A conclusione del convegno, diverse le richieste avanzate dalle associazioni:
➡️Scuola: in Lombardia è necessario un protocollo di intesa sulla base di quelli esistenti in altre Regioni (Sicilia, Piemonte, Emilia Romagna) con prassi chiare e finanziamenti.
➡️Sanità: è fondamentale il supporto terapeutico domiciliare gratuito e personalizzato per il ragazzo e la famiglia. È assurdo che il Cps esiga che il ragazzo si presenti di persona nella struttura sanitaria.
➡️Servizi sociali: devono affiancare in modo adeguato i genitori. Sono necessari percorsi di formazione ad hoc per i professionisti.
➡️Inserimento lavorativo: per i giovani adulti hikikomori, dovrebbe essere previsto – per esempio con appositi tirocini in Regione – un telelavoro con tutor in base alle capacità di relazione del soggetto.
➡️Comunità: occorrono fondi per sovvenzionarle come luoghi di recupero che coinvolgono genitori e scuola.

«Il nostro scopo è informare le famiglie, creare un’adeguata rete di appoggio presso il Sistema Sanitario nazionale e regionale, e integrare famiglie e istituzioni – ha concluso Ester Lanfranchi –. Porteremo questa grave tematica in commissione Sanità per intervenire nel Piano Sociosanitario Lombardo integrato, dove è carente proprio la parte che riguarda il disagio giovanile». Condivide il consigliere regionale Pietro Bussolati: «Spesso in politica ci si perde in parole, ma noi vogliamo lavorare in modo trasversale e concreto: tutti insieme, pubblico e privato, possiamo incidere sulle decisioni».

Isa Bonacchi
ha collaborato Marilena Ferrotti

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