Il travolgente destino del quotidiano l’Unità e dei suoi protagonisti

“Prima ancora di scriverci, l’Unità l’ho letta. Ma per prima cosa l’ho diffusa. Non venduta (…). Diffondere voleva dire andare nelle case, suonando ai campanelli di domenica mattina, farsi dire cento no e qualche sì. (…) In quelle case ci andavamo a vendere l’Unità, ma anche a raccogliere i problemi delle persone, a dire cosa avremmo fatto per il caro bollette, per l’acqua alle fontanelle che non arrivava dentro casa, per il lavoro…”

Nell’incipit del libro di Roberto Roscanil’Unità – Una storia, tante storie”, si coglie subito lo spirito di una narrazione vissuta da dentro, nella pancia di quel giornale e di quel mondo. Roscani, prima ragazzo-diffusore, poi praticante dal 1974, infine giornalista professionista della redazione romana (da un certo punto in poi la più importante) affronta il racconto attraverso soprattutto i suoi ricordi personali, con il filtro di un amore e di una nostalgia “morettiana”, ovvero tutt’altro che scevra di coscienza critica, nell’intento – raccontando com’è andata – di capire dove s’è sbagliato e di offrire spunti di riflessione e ispirazione.

Anche questa, dunque, è una lettura che risulterà interessante ben al di là dei confini di reduci e nostalgici “ex”: lettori, militanti o semplici elettori del PCI. All’epoca in cui Roscani iniziò il suo lavoro nella redazione romana, il giornale diventava, la domenica, il più diffuso quotidiano d’Italia, superando – con oltre un milione di copie – la tiratura dello stesso Corriere della Sera e garantendo una capillarità informativa senza uguali, soprattutto fra i ceti popolari e nelle periferie urbane, come del resto nei piccoli paesi e nelle campagne. Non solo, ma – come racconta benissimo l’autore – attraverso la sua articolazione nei vari servizi e in un numero impressionante di edizioni locali, l’Unità era un crogiuolo dove l’elzeviro del grande intellettuale si connetteva alla cronaca spicciola, e perfino a quella “piccola cronaca” che dava conto dei turni delle farmacie e dei mercati rionali.

Perché l’ambizione era offrire un quotidiano completo, non un “secondo giornale”, un giornale di opinione. L’apice di questa epopea coincide con la massima forza elettorale del vecchio PCI, a metà degli anni Settanta. Un rapporto sinergico non casuale che poi verrà meno, per il travolgente destino politico che non ha ancora finito di trasformare anima e connotati della sinistra.

Saverio Paffumi

100 anni de l’Unità, dal sito FOGLIEVIAGGI

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