“Brassai, l’occhio di Parigi”, in mostra fino al 2 giugno a Palazzo Reale

Palazzo Reale, fino al 2 giugno, mostra Brassai l'occhio di Parigi
Palazzo Reale, fino al 2 giugno, mostra Brassai l'occhio di Parigi
Brassai, una gargolla di Notre Dame.

C’è tempo fino al 2 giungo per visitare a Palazzo Reale “Brassai, l’occhio di Parigi”, la bella mostra che raccoglie oltre 250 scatti in bianco e nero del fotografo Gyula Halàsz, in arte Brassaï (1899-1984), nome adottato in omaggio alla sua città natale, Brassó (nella Transilvania allora ungherese, oggi romena), curata da Philippe Ribeyrolles — nipote e studioso del fotografo, che conserva un’importante e vasta collezione di opere insieme a una estesa documentazione relativa al suo lavoro di artista.

A chi guarda le foto viene data la sensazione di percorrere con lui una Parigi tutta da svelare. Una Parigi per certi versi sconosciuta e misteriosa. La Ville lumiere è infatti la protagonista assoluta dei suoi scatti più celebri, la città degli intellettuali, dei bistrò notturni, della Senna nebbiosa. Sagome che si stagliano nella penombra, architetture e persone immerse nelle tenebre.

Quello che stupisce e affascina di Brassaï è proprio la capacità di catturare e raccontare per immagini la luce notturna di Parigi durante lunghe passeggiate che lo portano solo o in compagnia degli amici (Henry Miller, Blaise Cendrars, Jacques Prévert, per citarne alcuni) a vagabondare per le piazze deserte, le scalinate simmetriche di Montmartre, i marciapiedi lucidi di pioggia, una sedia abbandonata nei Jardin du Luxembourg, fra le luci dei lampioni o della luna, a ritrarre le ragazze dei bordelli con i loro fianchi nudi e ampi. Sono oggi immagini iconiche che nell’immaginario collettivo identificano immediatamente il volto di Parigi.

Palazzo Reale, fino al 2 giugno, mostra Brassai l'occhio di Parigi
Brassai, coppia al ballo delle Quattro stagioni in rue de Lappe.

“La notte non mostra le cose, le suggerisce. Ci disturba e ci sorprende con la sua stranezza. Libera dentro di noi le forze che durante il giorno sono dominate dalla nostra ragione”, questo disse Brassai sul suo momento forse prediletto per scattare.

E poi c’è la Parigi alla luce del sole: dai monumenti innevati d’inverno, ai lettori solitari in mezzo ai parchi, le chiatte sulla Senna, i lunapark, i pescatori lungo la Senna, la gente per strada, il venditore di palloncini, i muri ricoperti da graffiti, coppie di innamorati persi nei loro baci. 

Lo stile della sua fotografia ha qualcosa di magico. È una realtà scontornata dalla luce dei lampioni parigini, deformata dalle illuminazioni artificiali. La foschia interviene spesso a rendere tutto più rarefatto, come in una visione di sogno, spesso a un passo dall’incubo. E dove il tempo sembra essere costantemente fermo. Spesso Brassaï gioca con i riflessi negli specchi, con gli sguardi diretti dei soggetti verso la macchina fotografica, scattava le fotografie con la sua Voigtländer Bergheil montata su un cavalletto di legno, servendosi di una semplice cordicella per calcolare le distanze, con una sigaretta tra le labbra: sosteneva di misurare il tempo di posa fumando una “Gauloise per una certa luce, una Boyard se era più buio”, per catturare la poca luce notturna, nei lunghi tempi d’esposizione. 

L’atmosfera era creata dai fari delle auto, dalla luce dei lampioni, dalla nebbia che saliva dalla Senna: erano questi elementi a disegnare le sue opere, che successivamente completava in camera oscura. “Un negativo — diceva — non significa nulla per un fotografo come me. È solo la stampa dell’autore che conta. È per questo motivo che ho sempre voluto realizzarle personalmente”.

Per i ritratti di interni Brassaï utilizzava tecniche innovative di illuminazione artificiale. Il suo assistente preparava un flash alla polvere di magnesio e un pannello riflettente per ammorbidire la luce del lampo. Le rumorose esplosioni delle lampade al magnesio indussero Picasso, suo amico, a soprannominarlo “il Terrorista”.

Palazzo Reale, fino al 2 giugno, mostra Brassai l'occhio di Parigi-
Brassai, la Senna nella nebbia.

Brassai arrivò a Parigi nel 1924, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle arti a Budapest e poi a Berlino. “A Parigi – dirà – ero alla ricerca della poesia della nebbia che trasforma le cose, della poesia della notte che trasforma la città, della poesia del tempo che trasforma gli esseri”. In stretta relazione con artisti quali Picasso, Dalí e Matisse e vicino al movimento surrealista, fu partecipe del grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni. Con Prévert strinse ben presto amicizia, così come con il poeta Léon-Paul Fargue e lo scrittore americano Henry Miller, che lo definisce l’”occhio vivo” della fotografia. Nel 1932 conosce Picasso, che gli affida il compito di fotografare il suo lavoro di scultore. Non è l’unico artista immortalato dal fotografo. Lavorando per “Minotaure“, egli ritrae Breton, Dalì, Eluard, Man Ray e Giacometti. Nel 1933 pubblicò il libro Paris de Nuit,  un volume in cui una selezione di sue fotografie notturne è accompagnata da testi di Paul Morand. Nel 1964, in occasione dell’ottantatreesimo compleanno di Picasso, decide di pubblicare questi dialoghi e nasce “Conversations with Picasso“.  Si spegne nel 1984 in Costa Azzurra, all’età di 85 anni, dopo aver terminato la redazione di un libro su Proust al quale aveva dedicato diversi anni della sua vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *