Grande teatro al Carcano con “Maria Stuarda”, dramma di Schiller, regia di Livermore, costumi Dolce & Gabbana

Ultimo giorno domani, 12 novembre, per assistere a Maria Stuarda dramma in 5 atti, scritta nel 1800 da Friedrich Schiller, in scena al Teatro Carcano di Milano (co-produzione del Teatro Nazionale di Genova, del Teatro Stabile di Torino e di Ctb Centro Teatrale Bresciano) con la regia visionaria di Davide Livermore, che mette insieme simultaneamente tragedia greca, feuilleton, in streaming, opera pop dai toni almodovariani, montaggio cinematografico. E un cast di prima grandezza, capitanato da due attrici di straordinaria levatura, Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi, pluripremiate e amatissime da pubblico e critica, che si cimentano in entrambi i ruoli, di Maria ed Elisabetta, vestite con gli splendidi costumi firmati da Dolce & Gabbana. Accanto alle due protagoniste, agiscono cinque tra attori e attrici, che alternano ruoli maschili a quelli femminili. Gaia Aprea, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Sax Nicosia (il conte Leicester, capace di oscillare, apparentemente disinvolto, da una regina all’altra). Linda Gennari particolarmente applaudita nei panni di Morimer.

Potentissimo dramma tutto al femminile dalle tinte cupe. Due regine, nemiche giurate, dentro il tumulto di guerre di religione che insanguinarono l’Europa del XVI secolo. Rivali anche in amore (eppure probabilmente, le uniche a potersi capire a vicenda): la cattolica Maria Stuarda, regina di Scozia e sua cugina la protestante Elisabetta d’Inghilterra, figlia di Anna Bolena ed Enrico VIII che ne teme gli intrighi e le mire al trono e la tiene prigioniera nel castello di Fotheringhay, con l’accusa di aver ucciso il marito. Lo scontro sarà implacabile. “Schiller è uno dei geni del teatro di tutti i tempi – scrive Livermore nelle note di regia – in questo violento affresco storico si trova davvero tutto. Politica, religione, intrighi e passioni si mescolano. Ogni scena porta con sé un “colpo di teatro”, un avanzamento improvviso, un cambio di inquadratura emotiva di ogni personaggio (..)”. Davide Livermore, poliedrico regista di fama internazionale, alla guida del Teatro stabile di Genova e che ha firmato regie spettacolari per il Sant’Ambrogio alla Scala, ha sempre dichiarato il suo intento programmatico: “Non andiamo a teatro per vedere una ricostruzione storica, ma per essere toccati nel vivo del nostro presente. E la straordinarietà di affrontare testi classici è che mutano come mutiamo noi: danno sempre risposte straordinarie a quel che cerchiamo, che di tempo in tempo si trasforma a seconda dei bisogni della società”. 

Le ragion di stato e le ragioni del cuore. Questa tragedia per Livermore porta in sé una aspra riflessione sul rapporto tra femminilità e potere. “Nel trovarci di fronte queste due gigantesche figure, non possiamo non chiederci quanto e come la donna abbia dovuto interiorizzare certi meccanismi maschili della gestione del potere per regnare e sopravvivere”.

Passionale e istintiva Maria, razionale e calcolatrice Elisabetta. Pur di vincere sulla rivale rinuncia alla propria femminilità. Diversamente, Maria esercita il potere, pur tra intrighi complotti e omicidi, ma sceglie di vivere, in pienezza la sua femminilità. Maria Stuarda si sposa per ben tre volte ed ha un figlio. Elisabetta no. Le rimarrà attaccata per sempre l’etichetta di “regina vergine” nonostante i numerosi amanti.

Il dramma si apre con le due regine sdraiate in due stanze da letto posizionate simmetricamente che, ancora prive di abito, attendono la loro sorte. Sarà una piuma lasciata cadere da un angelo a inizio serata, a decidee il destino di chi regnerà e di chi deve morire, chi interpreterà Maria e chi Elisabetta. Un espediente scelto da Davide Livermore a simboleggiare l’ineluttabilità del destino. Maria Stuarda ed Elisabetta come le due facce di una stessa medaglia.

Per il debutto al Carcano, cui abbiamo assistito, la piuma ha decretato Elisabetta Pozzi per il ruolo di Maria Stuart. Fragile e altera insieme, creatura infuocata e temeraria, capelli corti bianchi, in abito a fiori di Dolce & Gabbana, Pozzi ha saputo dosare prima la dolcezza, poi la speranza, per poi esplodere nel terzo atto, quando si incontra con Elisabetta nel parco del castello di Fotheringay, per chiederle la grazia di liberarla dopo 18 anni, passando dalla supplica (“Scioglimi il cuore così che io possa scuotere il tuo”) agli insulti  con cui fiera e indomita apostrofa la regina d’Inghilterra definendola “vil bastarda”. Vero acme dramatico, con il dialogo delle due regine portato ad un punto di non ritorno. Le due, nella realtà storica, non si conobbero e non ebbero mai un vero scontro. Fu Schiller a introdurre un fantomatico incontro tra le sovrane. 

Laura Marinoni ha tratteggiato con ricchezza di sfumature una Elisabetta algida, austera e sottilmente perfida, dura, glaciale con la sua brillante intelligenza e la sua ferrea ambizione e nello stesso tempo, compressa nella rivalità e nella gelosia per la Stuarda, piena di dubbi ed esitazioni. In una delle scene più vertiginose. Elisabetta firma la condanna a morte di Maria, pronta a scaricare il peso della gravosa scelta sanguinaria (la decapitazione finale) sui suoi collaboratori.

La scenografia, firmata da Lorenzo Russo Rainaldi, è quasi scarna, asciutta, essenziale, capace di diventare, di volta in volta, prigione, corte, claustrofobica, dominata da due scale ai lati. Suggestivo il disegno luci di Aldo Mantovani, il rosso colore-guida dello spettacolo che riporta alla passione, alla sensualità, ma anche al sangue che attraversano la vicenda, che cala come una sciabola nei momenti più acuti dello scontro tra le due regine.

La musica ha una propria centralità nella messinscena “autentica grammatica narrativa”, per il regista Livermore “se vogliamo creare una catarsi nel pubblico dobbiamo allestire una gabbia acustica che trasporti altrove lo spettatore”. La colonna sonora scaturisce dalla creatività di Mario Conte, compositore e sound designer, e dalla cantautrice genovese Giua, armata di chitarra elettrica e truccata alla David Bowie, con abiti di foggia militare, giacca nera e alamari dorati presente sul palco insieme agli attori, con le sue nostalgiche ballate inglesi da lei rivisitate, ma anche con citazioni esplicite che spaziano dai Metallica agli Eurythmics alla musica barocca di Henry Purcell. Tre ore di intenso spettacolo (forse troppe, alcune scene potevano essere tagliate). Dopo la decapitazione fuori scena, resta la solitudine, terribile, della pur vincente Elisabetta che si è liberta di Maria. Buio e silenzio al calare del sipario. Mentre sullo sfondo s’intonano gli applausi convinti del pubblico. Le due attrici a fine tragedia, quasi come un atto di liberazione, si baciano emozionate.

Foto di Alberto Terrile.

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