Gene Gnocchi. «Voglio i Ferragnez al ministero del Lavoro»

Intervista a Gene Gnocchi. Nasce il “Movimento del Nulla” e le convention si fanno a teatro. A Milano l’appuntamento è stato al Franco Parenti

«Sono andati a votare 4 italiani su dieci. È un segnale a tutti i partiti. La gente si è stufata del “meno peggio”, e pensa che il voto non cambi le cose. Dopo l’astensionismo record delle Regionali, porto in scena con maggiore convinzione di prima ed entusiasmo il mio “Movimento del nulla”. Giro l’Italia con il mio spettacolo e vedo gente sfiduciata. Vuol dire che c’è davvero bisogno di qualcosa di nuovo», racconta a Il Sud Milano Eugenio Ghiozzi, in arte Gene Gnocchi, 68 anni compiuti in marzo, istrionico a tista a tutto tondo, umorista, conduttore televisivo, cantante e scrittore (visto che «la mia filosofia è: meglio fare dieci cose male che una bene»).

In questi giorni si trova nel bel mezzo di una tournée teatrale che lo sta portando a spasso per l’Italia nelle vesti di segretario di un surreale nuovo movimento politico del Nulla, presiedendo una “convention” che sta riscuotendo consensi con le sue disincantate e paradossali dichiarazioni d’intenti. Sparando ad alzo zero sui politici perché «dobbiamo fare tabula rasa per ricominciare». Il “comizio” ha fatto tappa anche a Milano, al Teatro Franco Parenti. Sul palco un tavolino con i gadget-magliette, tazze e penne. «Manca ancora l’inno», esordisce Gene. «Avevo contattato i Måneskin ma Damiano (David, la voce del gruppo – NdR) mi ha detto che sono impegnati a fare un jingle per la suoneria della Cgil».

Con quella sua comicità surreale, che sposta le contraddizioni del quotidiano e i vizi del contemporaneo nei territori del non senso, solo a Gene Gnocchi poteva venire in mente di mettere in mostra “l’inesistente che c’è” nella politica di oggi. Anche l’intervista che segue è un po’ surreale, ma anche tutta vera. Perché Gene, che è sempre pronto a spiazzare il pubblico che non sa mai se si tratta di una battuta o di una cosa seria, fa diventare surreale il reale e il vero sembra finto.

Gene, ma tu prometti il Nulla.

«Penso che sia davvero l’unica soluzione possibile: fare tabula rasa, azzerare desertificare solo azzerando tutto si può dare ai giovani la possibilità di ricostruire ex novo, senza slogan né preconcetti o frasi fatte. Se vorranno ricostruire qualcosa. La gente è stanca delle promesse disattese, di tutte le contraddizioni, le scempiaggini, le bizzarrie di una politica sempre più lontana dalla realtà. Sono scesi in campo Grillo e Zelensky, perché non io? È chiaro che per fare questo occor- re un programma molto forte».

I punti cardine del tuo movimento?

«Taglio completo delle tasse e reddito minimo di 5.000 euro al mese per tutti. Come? Stampiamo soldi falsi! L’economia? Trasformare l’Italia in un paradiso fiscale. Perché andare alle Cayman quando noi siamo molto meglio per clima, natura e arte? Mentre per l’ambiente, stiamo facendo un ampio pen- siero contro i pannelli fotovoltaici. Mia figlia ne ha infatti installato uno sulla casa della Barbie facendola sciogliere. Sono tragedie su cui bisogna riflettere. E voglio i Ferragnez ministri del Lavoro».

Dietro la tua satira surreale si percepisce malinconia e disincanto, rovesciati nel sorriso del paradosso e dell’ironia. «Hai colto nel segno. E mi fa piacere che lo si noti. Mio padre era sindacalista, segretario generale della Camera del Lavoro della Cgil a Parma e ha fatto tutte le grandi lotte per i rinno- vi dei contratti con le grandi aziende della zona. All’epoca c’era un’attenzione nei confronti del mondo del lavoro che adesso non ritrovo più. C’è una mancanza di rapporto con le fasce più deboli che mi lascia perplesso. Una mancanza di visione. E di cultura. Non si va mai oltre la mezza giornata, un aspetto avvilente. Intorno non vedo quindi persone che mi possano rappresentare davvero. Io sono stato abituato a votare politici che erano meglio di me, se ora sono uguali o peggio, tanto vale che faccia politica io stesso. E poi ormai c’è osmosi, il politico diventa comico e il comico diventa politico. È un’invasione di campo».

Una risata salverà il mondo. Cosa ne pensi?

«Mah in questo momento è davvero difficile sapere cosa salverà il mondo. Anzi sì, lo so: saranno i bambini. Spero in loro. Gliel’ho anche detto alle mie due figlie di 7 e 10 anni, Irene e Livia, che dovranno salvare il mondo. E loro mi hanno risposto “va bene”. Ci penseranno loro».

Nello spettacolo, accompagnato alla chitarra da Diego Cassani, canti anche e bene.

«Sono un rockettaro. Accanto all’Eugenio Ghiozzi avvocato e calciatore inquieto (ho cambiato tredici squadre per guadagnare sul premio d’ingaggio), con lo pseudonimo di Gene Gnocchi mi esibivo nelle balere della Bassa Padana, cantando col gruppo rock-demenziale Desmodromici, spalleggiato dal fratello minore Charlie Gnocchi, alla chitarra. Prima di iniziare spiegavo il pezzo, perché il testo era in inglese. Mentre raccontavo, la gente si metteva sempre a ridere. Capii che dovevo fare il comico».

Il tuo debutto comico è stato allo Zelig

«Portai il mio primo monologo Diventare Torero come provino. Era la storia di uno che diventa torero facendo il corso per corrispondenza della scuola Radioelettra di Torino e gli arrivano la muleta (bandierina col drappo di color rosso – NdR), il capote (mantello – NdR), el estoque (spada – NdR), ma non il toro e lui per esercitarsi infilza la nonna. È andata bene. Zuzzurro e Gaspare mi hanno scelto subito per fare Emilio, un programma che ricordo con tanto affetto, dove ho lavorato con Teo Teocoli e Faletti. Stiamo parlando del 1988».

“Mettiamo in scena l’inesistente che c’è e chiediamo un reddito minimo di 5.000 euro”

Milano in un’immagine?

«San Siro, lo stadio Meazza, è un posto magico. Un monumento che è diventato il simbolo del calcio italiano nel mondo. Una delle cattedrali più belle di Milano. Altri tempi, si dirà. Mi auguro che non venga demolito, mi dispiacerebbe. La sua demolizione è “insensata”. Come lo sarebbe l’abbattimento della Scala».

Con quale persona passeggeresti per Milano?

«Con il poeta Luciano Erba (scomparso nel 2010 – NdR), milanesissimo, che alla città ha dedicato versi memorabili. Osserva, s’interroga, cerca, ma senza affanni, senza pretendere di comprendere tutto. E su tutto uno sguardo d’ironia, ora affettuosa, ora tagliente, mai distaccato. Lo citai in una trasmissione di Oliviero Beha e mi aveva chiamato stupito che lo conoscessi. Mi ha accolto tante volte a casa sua in zona via Washington».

Ti piace la poesia?

«Da trent’anni leggo quasi esclusivamente poesia perché è lì che trovo si dica qualcosa di realmente significativo. Nell’era delle parole usurate e mercificate, la parola poetica ha il potere di farle nuovamente brillare, renderle nuove e ricche, restituire loro una pienezza. Di fare apparire nel mondo cose che prima non c’erano. E cambiare il nostro sguardo. Ho pubblicato anche un libro di poesie per Einaudi Sistemazione provvisoria del buio nel 2001».

Nel talk show di Porro su Rete 4 regali sempre qualcosa agli ospiti intervenuti. Al sindaco di Milano cosa regali?
«Un cartello stradale con indicato il limite massimo di velocità urbana delle auto: 20 km/h».

Ma come, vuoi abbassare il limite dei 30 all’ora?

«A Milano non c’è il mare? Così diventerà la più grande isola pedonale d’Europa».

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