Le storie della Milano di una volta, quando all’osteria si beveva e si cantava, nei racconti di Erminio e Maria, figli del mitico Pinza, fondatore della Briosca e dei locali che la precedettero e che vennero dopo al Gratosoglio, in Ticinese e in via Moncucco, alla Barona
Ci fu un tempo in cui la Darsena era il terzo porto italiano per tonnellaggio e i Mondeghili, le famose polpette milanesi, troneggiavano sul bancone all’ingresso di un qualsiasi rispettabile locale milanese, così come le uova sode.
In quella Milano, crocevia di genti, c’era l’osteria della “Briosca”, al 27 del Naviglio Pavese, un locale del ‘600, che Luciano Sada, in arte il “Pinza”, rilevò, con la moglie Elda, per farla diventare quel magico locale, di cui si parla ancora. Il suo ricordo è legato alle serate sui Navigli, quando ancora si barbellava dal freddo e bastava entrare alla Briosca, per ritrovarsi ai Tropici. La Barbera o la Bonarda, erano abbracci, che scaldavano gli animi e le canzoni.
È qui che è nato il mito del Pinza e delle serate in cui lui, assieme ad altri, accompagnandosi con piano e chitarra, cantavano e intrattenevano, attingendo da un repertorio che andava indietro di un secolo o forse più. Il cabaret era animato da personaggi del quartiere: Cesarino Lamberti, tassista, Bruno Scapoccin, fabbro, Alberto Quacci, detto “la Wanda”, il Rinone, Mariett Bidell, il Pelè, il Picaluga. Il biglietto da visita della Briosca, era la caricatura del leggendario barista, che ammoniva testuale: «Questo è il Pinza, uomo perverso, non andate da lui… è tempo perso». Chi ha vissuto quei momenti, ancora se li ricorda. Tra questi: Erminio e Maria Sada, i figli del Pinza.
Cosa hanno rappresentato la “Briosca” prima e poi il “13”, per voi?
Erminio: «La “Briosca” e il “13”, il locale dove traslocammo dopo 4 anni, vogliono dire un lasso di tempo, che è iniziato nel ‘68 ed è finito una dozzina di anni dopo. Tutta la nostra adolescenza l’abbiamo passata lì».
Maria: «Erano la casa, la famiglia e diciamo tutto quello che girava attorno a noi. Talmente un’unica cosa, che sopra la “Briosca”, dove abitavamo, c’era una mattonella che si spostava e dalla quale si vedeva cosa succedeva nel locale».
Erminio: «Quando si tornava a casa da scuola, ci sedevamo a mangiare con i clienti. Una volta era il macellaio, l’altra il fabbro, un’altra volta il meccanico o il contrabbandiere e così via. La casa era solo il luogo dove si andava a dormire».
Maria: «Quando il negozio era chiuso, spesso i clienti arrivavano a casa. Suonavano al citofono per una fetta di panettone e un piatto di pasta. Era così. Una sorta di grande famiglia allargata e anche una società di mutuo soccorso. Avevamo una casa sul lago, dove i miei si riposavano un paio di giorni ogni tanto e dove i “clienti” arrivavano sempre».
Il Pinza, a quale dei suoi locali è stato più affezionato?
Erminio: «Quello che viene ricordato ancora adesso ed è un po’, come fosse un tormentone, è la “Briosca”, che alla fine è durata solo quattro anni. Poi c’è il “13”, che era qualche metro più in là e tutti quei locali che sono venuti dopo. Sono diventati quello che sono diventati, sulla scia del successo che ha avuto la “Briosca“. Prima i miei avevano un locale al Gratosoglio, che è durato 9 anni. Era frequentato di giorno dai muratori che hanno costruito il quartiere che vediamo oggi e di notte da nottambuli, gente di spettacolo e personaggi del sottobosco milanese».
Maria: «Gratosoglio era un borgo e allora, i locali fuori porta, non erano troppo sotto l’occhio della questura. Si poteva trasgredire un po’. Tutto nasce da lì. Papà, a una certa ora, tirava fuori la chitarra e si metteva a suonare le ballate milanesi e a interpretare i suoi vari personaggi. Quindi, dopo, per questo la “Briosca” è diventata la “Briosca”».
La mamma che diceva?
Erminio: «Mamma sgobbava. Papà aveva questa capacità di attrarre, di portare gente, di far succedere cose. Però dietro ci voleva chi sapeva far funzionare il locale. Certo, magari non da sola, aiutata da qualcuno, e da noi figli».
Maria: «Il successo dei locali è dovuto a nostro padre, alla sua vena artistica e alla sua capacità di coinvolgere le persone, sempre coadiuvato però dalla forza di nostra madre. Mandare avanti una famiglia, un locale, crescere tre figli e tenere tutto quanto insieme, non è stato facile. Però insomma ce l’hanno fatta».
Entrambi i vostri genitori erano figli di gestori di locali?
Erminio: «I genitori della Elda avevano una tabaccheria osteria, col gioco delle bocce, in via Moncucco al 31. Poco più in là, quasi di fronte, c’era una posteria famosa con mescita. E lì c’erano i genitori di mio papà. Quando si sono sposati, il nonno materno, ha ceduto l’osteria alla mamma e al papà. Ma per il Pinza avere il suocero che gli soffiava sul collo, diciamo, gli andava un po’ stretto e ha pensato bene nel ’59 di aprire il proprio locale al Gratosoglio».
Che ricordi avevano del Moncucco?
Erminio: «Il Moncucco, era un piccolo borgo a sé stante. Uno dei tanti, che c’erano intorno a Milano. Zone agricole o poco più, appena al di là della circonvallazione. Una zona franca di Milano. Ci raccontavano delle loro cose di infanzia e gioventù: le balere, il Guzzi 50, le libellule, la libertà. Anche la guerra. L’hanno appena sfiorata. La gente che abitava al Moncucco, qualcosa da mangiare, lo rimediava sempre».
Maria: «Dove c’era il Borgo del Moncucco, oggi c’è il campus dello Iulm. Siamo un po’ l’ultima generazione che ha questi ricordi di Milano».
Quando si sono ritirati?
Erminio: «Il “Tredici”, l’hanno ceduto nel ’78. Hanno avuto poi la “Brioschina”, per due anni. Dopo, la “Sabbietta”, in via Col di Lana angolo piazza 24 Maggio. L’ultimo locale, era giusto un baretto, l’hanno tenuto un paio di anni per arrivare alla pensione».
Maria: «Era quasi una sofferenza per loro. I clienti, credevano di trovare lo stesso ambiente dei locali precedenti e invece, dopo aver passato 35 anni, tra banconi, cucine e serate sempre tirate fino a tardi, la stanchezza si faceva sentire. Inoltre il Pinza, iniziava ad avere qualche acciacco. I clienti ci rimanevano male. Anche nostra mamma, col papà l’hanno vissuta un po’ così. Verso gli anni ‘80 hanno deciso di smettere».
E il Pinza da pensionato?
Erminio: «Il papà ha continuato a frequentare i locali nei quali ritrovava certe atmosfere. Andava al Cral della Centrale del Latte in viale Toscana, di fianco al Pane quotidiano, o all’Arci Corvetto, dove si ritrovava con i suoi vecchi amici a giocare a carte oppure a cantare qualche ballata delle loro».
Maria: «In realtà il papà, ha fatto in tempo a diventare attore e recitare allo Smeraldo, nel teatro dialettale, ereditando da Piero Mazzarella il ruolo del “Tecoppa”, classica maschera milanese».
Erminio: «Hanno rappresentato un paio di operette, quelle di Luigi Carcano, detto “El Luisin tassista” e del maestro Pinotti. Le hanno portate in tutta la Lombardia, anche in Canton Ticino. Ha fatto in tempo a recitare allo Smeraldo, al Carcano e anche in altri teatri. Fino a quando ci ha lasciati nel ’99. Al suo funerale era pieno di gente, tanto che il Comune proibì il corteo».
Avete detto che farete uno spettacolo sul Pinza?
Erminio: «Sì, la sera del 18 ottobre. All’Auditorium “Anna Marchesini” di Settimo Milanese. Saremo: Io, Maria, Luca Bartolomeo, chitarra e voce, e Raffaele Kohler, tromba e voce, per la regia di Francesca Buffi. Vi aspettiamo».