“L’orso”, I danni del tabacco” e “La domanda di matrimonio”: tre splendidi atti unici di Čechov al Menotti fino al 9 giugno

Gli attori in scena al Menotti con i tre atti unici di Cechov.
Da sinistra gLi attori dei trE atti unici di Cechov: Alessandro Sampaoli, Gianluigi Fogacci, Maddalena Crippa, Peter Stein, Alessandro Averone ed Emilia Scatigno.
Foro Tommaso La Pera.

Peter Stein, grande maestro della regia internazionale, torna a uno dei suoi autori prediletti, Anton Čechov. In scena fino a domenica 9 i tre celebri atti unici “L’orso”, I danni del tabacco” e “La domanda di matrimonio”, riuniti da Stein con il titolo Crisi di  nervi. Uno degli eventi teatrali più attesi della stagione del Teatro Menotti, con Maddalena Crippa, Alessandro Sampaoli, Sergio Basile, Gianluigi Fogacci, Alessandro Averone ed Emilia Scatigno.

Scritti tra il 1884 e il 1891 e ispirati alla commedia francese e al vaudeville, ritraggono personaggi che si fanno prendere da crisi di nervi, si ammalano o litigano in continuazione fra loro, che si fraintendono di continuo, urlano, sempre sul punto di “venir meno” e accasciarsi su un divano. Čechov, che definiva I tre atti unici “scherzi”, è comico, anche nei drammi, e lo è sfiorando il grottesco e il surreale, accogliendo infelicità, malinconie, domande di nozze, ridicole, conferenze, attacchi di panico, ubriacature. Come si legge nelle Note di Regia “dopo l’insuccesso delle sue prime due opere, il giovane Čechov giurò di non scrivere mai più per il teatro drammatico e decise di dedicarsi esclusivamente ai vaudeville. Questa circostanza ci ha regalato una serie di atti unici, pieni di sarcasmo, di comicità paradossale, di stravagante assurdità e di folle crudeltà”.

Fedelissimo al sentire del drammaturgo russo, Stein riscrive con assoluto rigore la partitura cechoviana, attraverso un continuo esercizio di sotto testo, affidandosi alla bravura degli attori che attraverso l’uso di sguardi, gesti, tono di voce riescono a esprimere, pur con le stesse parole, un concetto opposto, lasciando intenderne così allo spettatore le intenzioni reali dei singoli personaggi. «È il mio stile, il mio modo di lavorare da sempre. È una fase di lavoro fondamentale ed è uno dei momenti più creativi». ha raccontato il regista in conferenza stampa. «Io non voglio fare una “messa in scena”, ma “capire” quel testo in profondità. Perché quel personaggio dice quella frase? Cosa intende? Che cosa c’è dietro la sua battuta? Ma solo misurandomi con gli attori diventa chiaro, perché ogni frase, ogni movimento, ogni gesto è frutto di una elaborazione dell’attore, su cui io intervengo solo per correggerlo o per inserirlo nel tessuto totale». Una regia e lavoro attoriale capace di restituire magistralmente la compresenza simultanea del Reale, del Tragico e del Ridicolo con sfumature surreali. Perché anche quando Čecov vuole “soltanto” divertire, non resta in superficie.

A parte Sergio Basile, gli altri attori che si alterneranno nelle varie pièce, sono gli stessi interpreti de Il compleanno, di Harold Pinter sempre per la regia di Stein, spettacolo che è tornato in scena al Menotti nel novembre 2023. Gli attori hanno preparato e provato i tre atti unici nel podere umbro che Peter Stein e Maddalena Crippa, coppia nella vita oltre che nel lavoro, hanno recuperato e valorizzato nel 1999 nel piccolo borgo di San Pancrazio (a 13 km da Orte, nella vasta piana compresa tra Amelia e Giove). «Si crea una dimensione temporale diversa – dichiara Maddalena Crippa – il teatro diventa un lavoro collettivo, c’è una fiducia reciproca. Senza voler emergere uno sull’altro, ognuno si sente al servizio dell’autore, per un teatro di parola». Ogni attore recita un solo pezzo, ma tutti partecipano ai veloci cambi di scena. Che è come dire: qui si fa teatro. 

Maddalena Crippa nei panni della vedova Popova in L’Orso di Cechov. Foto Tommaso La Pera.

Si incomincia con L’orso e si ride di gusto: un creditore Smironv (Alessandro Sampaoli) si presenta a una vedova inconsolabile (Maddalena Crippa) chiedendole di saldare i debiti del defunto marito. Sbraita, e minaccia tutto il tempo, (ma è già innamorato) con la donna che continua a dire «vi odio» quando è chiaro che vorrebbe solo urlare «vi amo» (ecco il famoso sottotesto!) mentre l’anziano tremebondo servitore (Sergio Basile), si agita  con il vassoio in mano, anche lui perdendo via via la compostezza iniziale. Compariranno pure due pistole per una sfida a duello. Non spareranno affatto. Esploderanno semmai in un bacio appassionato, con il crescere di una passione travolgente tra Elena Ivanovna Popova e il focoso Orso, in ginocchio a chiederle di diventare sua moglie. Segue I danni del tabacco: il monologante Njuchin (Gianluigi Fogacci ) deve tenere una conferenza sugli effetti negativi del tabacco, (e non fa che fumare di nascosto) ma, tra starnuti e attacchi d’asma, confessa in realtà di voler mettere fine alla vita disastrosa che conduce come “marito della propria moglie”, di cui è infelicemente succube. La trilogia si conclude con La domanda di matrimonio (portata in scena da Alessandro Averone, nuovamente Sergio Basile e la giovane e sempre più  brava  Emilia Scatigno ) in cui un proprietario terriero  (ipocondriaco e pieno di tic nervosi) Ivan Lòmov va a chiedere al suo vicino Stefàn Ciubukòv la mano della figlia Natàlia e si trova alla fine con litigare sui confini delle rispettive proprietà. Fra imbarazzi, fraintendimenti, equivoci e svenimenti (nel testo di Čecov se ne contano ben 33). Stepanovna (che teme di restare zitella) finirà per accettarlo pur detestandolo. E continueranno a litigare.

Degno di nota il lavoro scenografico di Ferdinand Woegerbaue: essenziale e al contempo evocativo della piccola società borghese. Impeccabil i severi costumi d’epoca firmati da Anna Maria Heinreich. Il disegno luci di Andrea Violato ben sottolinea le intenzioni della regia che si muove fra il realismo e il grottesco.

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