Liana Ghukasyan, artista armena con base a Gratosoglio

Sotto le Torri bianche di via Saponaro le iniziative della Design Week, con l’Istituto Kandinsky e una perfomance su Demetrio Stratos

Liana Ghukasyan. Foto di Paolo Pizzetti.

Liana Ghukasyan è una pittrice armena, alla continua ricerca di nuove forme espressive. Diplomata in Belle Arti a Yerevan, capitale del suo Paese, arriva a Milano nel 2008 a soli 22 anni. Qui si diploma all’Accademia di Brera e inizia un percorso artistico, che la porta ad affermarsi in Italia e all’estero. Finché nel 2020 approda nel cuore di Gratosoglio, sotto le Torri Bianche di via Saponaro 38, con l’intento di aprire il Laboratorio l’Arte_lier, per unire arte e progetti sociali. 

Gli inizi sono difficili, i locali, avuti da Aler attraverso un bando, sono in pessime condizioni, renderli agibili è un percorso in salita. Finalmente a gennaio di quest’anno i lavori di ristrutturazione terminano e Arte_lier apre a febbraio.

Qual è lo spirito di Arte_lier?

«Arte_lier nasce per essere uno spazio indipendente di arte contemporanea e cultura. Voglio che diventi un format, una box Gallery dove organizzare mostre e workshop presentando artisti con un approccio diverso, più relativo alle emozioni e al cuore, in stretta relazione con la città. Con questo spirito, con gli studenti e la professoressa Alessandra De Blasi, ho collaborato alla realizzazione di un murale con le classi 3A, 3B e 3C l’Istituto Kandinsky. Per l’anno prossimo con la preside Alfonsina Cavalluzzi e la professoressa De Blasi stiamo progettando un percorso di storia contemporanea dell’arte che abbiamo chiamato Donne-Arte-Libertà, che coinvolgerà artiste provenienti da Paesi come Armenia, Iran e Libano».

Hai partecipato anche alla Design Week…

«Sì, a febbraio ho vinto il bando del Comune “Design Week 2023” e sono entrata nel circuito del Fuorisalone. Abbiamo fatto diversi laboratori di serigrafia e stampa su magliette aperti e gratuiti, e costruito progetti che fossero tradizionalmente vicini alle radici della Design Week come, per esempio, lavori di ceramica fatti da donne con tecniche particolari che danno vita a un progetto organico, con germogli che crescono nel tessuto. È stata una bella esperienza perché in quell’occasione ho sentito l’energia scorrere nelle vene delle persone e dare vita a questo spazio».

Energia che si trasforma in performance.

«Non a caso abbiamo chiuso la nostra Design Week con la performance Shirin Tun. In lingua farsi Shirin vuol dire “dolce” e Tun in armeno significa “casa”. L’ho organizzata assieme a una collega iraniana, Saba Najafi, e a noi si è unito un ragazzo di origini armene, Arman Avetikyan, che è un designer di moda. Abbiamo cucito con dei tessuti che il gruppo Colombo ci ha messo a disposizione a titolo gratuito. La performance era basata sul cucito, l’ago andava e veniva, mentre noi cercavamo di dare significato alla parola “casa”. Noi siamo qui ma dal Paese da cui proveniamo c’è la catastrofe, siamo in bilico tra lo stare qui a prenderci cura della casa che abbiamo costruito e il cuore che batte per i luoghi di origine.

L’evento è stato emozionante. Fuori diluviava e mentre noi eravamo chiusi a cucire ascoltavamo la colonna sonora di “Mamma Roma” il film di Pierpaolo Pasolini con Anna Magnani come sottofondo. Una musica che per me significa molto, perché è quella che mi ha spinto molti anni fa a venire in Italia». 

Cos’hai in programma adesso?

«Sto lavorando a una performance (si svolgerà il 14 giugno alle 19 – NdR) dedicata a Demetrio Stratos, musicista greco naturalizzato italiano. Artista immenso e profondo. Fa una musica di vibrazioni, attraverso la voce e il suono crea colori, che userò per accompagnare la performance: durerà circa un’ora e mi vedrà dipingere su una grande tela, inchiodata a una parete. La mia è una pittura concentrata più nella ricerca dei volumi che dei colori, li mischio per arrivare a un grado di sporco, di profondi neutri per perseguire la tridimensionalità che cerco sempre di trasmettere. Mi piacciono le situazioni scomode, uso pochi materiali, il mio focus è la tensione emotiva. Non ho timore dell’errore ma ho paura di non avere paura. Questa è la spinta che mi dà fiducia e mi porta ad esprimermi attraverso l’arte». 

Ragazzi del Kandinsky mentre realizzano il murale We’re all the same.

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