Michele Mozzati racconta: “Chi ha ucciso l’Uomo ragno? Che bello scoprirlo dal divano”

Dai cineforum impegnati (e temuti) degli anni Settanta alle serie televisive più seguite, un protagonista della cultura milanese racconta l’evoluzione del grande – e piccolo – schermo. Intanto il cinema d’essai gode sempre di ottima salute

di Michele Mozzati (scrittore, autore teatrale e televisivo)

Il gruppo organizzatore di Fuoricinema Anteo, da sinistra: Paolo Baldini, Enrico Bertolino, Cristiana Mainardi, Cristiana Capotondi, Michele Mozzati, Gino Vignali, Lionello Cerri.

Non sono un malato di cinema, ma il cinema mi è sempre piaciuto molto. A fine anni Sessanta, da adolescente “che ha capito tutto (?)” o, a seguire, da giovane militante della cultura “che ha capito molto (?) ma molto deve ancora approfondire”, ho anche intasato abbondanti cineforum cittadini non badando a spese affettive e ideologiche. Il dibattito su Pasolini (Pier Paolo scritto staccato) o su Bergman (più Ingmar che Ingrid) allora per me era trasversale: si passava dalle cadreghe sghimbesce della saletta parrocchiale, alle poltroncine delle sale cinematografiche d’élite della buona borghesia milanese, quella che andava gioiosa al cinema a cercare di capire perché erano così difficili da capire i film d’autore che magari non volevano farsi troppo capire.

Per questo c’erano i cinema d’essai con i gesuiti di Civiltà cattolica (o male che andasse i preti dell’Avvenire) e i critici d’avanguardia di Ombre Rosse – la rivista di cinema pubblicata fra il 1967 e il 1981 – (o male che andasse i compagni de l’Unità) che ti spiegavano.

Truffaut? Moretti? Che volevano dire?

E poi eravamo una generazione a cui i genitori avevano raccomandato di studiare il francese a scuola, perché l’inglese “non ha futuro, tel disi mi!” (mannaggia a voi, papà e mamme d’antan!). Sapendo dunque il francese, conoscevamo esattamente cosa significasse la parola essai: “saggio, ricerca, sperimentazione, prova, tentativo”; e ne andavamo fieri. Solo Renzino, il nostro amico più sofisticato o semplic emente uno più sveglio, andava dicendo “Veramente a casa mia che si guarda il rugby (in francese era forte ma in italiano era così e così) essai significa ‘meta’. Fare meta si dice marquer un essai. “Ma non dire cazzate!”.

E il dibattito finiva lì, nonostante Civiltà cattolica e Ombre Rosse cercassero di coglierne l’essenza. Per riprendere la settimana dopo. Altre cose del tipo: Effetto notte (1973) il senso primario della coppia nella frase di Nathalie Baye: “Io per un film potrei piantare un uomo, ma per un uomo non pianterei mai un film”. Cosa voleva dire davvero il maestro François Truffaut? E soprattutto come ci si accoppia con una pellicola? Parliamone. Oppure: Nanni Moretti in Io sono un autarchico (1976) afferma: “Nel cinema gli attori sono la borghesia, l’immagine è il proletariato, la colonna sonora è la piccola borghesia, eternamente oscillante tra l’una e l’altro. L’immagine, in quanto proletariato, deve prendere il potere nel film dopo una lunga lotta”. È giusto? E se sì, se veramente ci fosse stata la rivoluzione con la vittoria del proletariato/immagine, che ne sarebbe stato del Cinema senza Marlon Brando/borghesia? Parliamone.

Tanti ottimi film e serie Tv per tutti i gusti

Oggi viene da sorridere, anche perché le citazioni riportate sono vere. Ma in fondo la situazione non è cambiata di molto, per me. Prediligo quel cinema che sa darmi emozioni e andare nel profondo. Non vado al cinema tanto per andarci, ma ci vado spesso perché ci sono sempre in giro per la città ottime “pellicole”. Mi aiuta anche il fatto di essere da anni coinvolto da un gruppo di storici amici nell’avventura bellissima di Anteo, la società che gestisce le sale, ormai tante, che in città e in Lombardia propongono cose di qualità. Non segue quasi mai dibattito come succedeva un tempo, ma è sempre un godimento parlare poi in pizzeria o a casa di amici di quel che si è visto.

Per dare un’idea di cose belle che ho visto al cinema nelle ultime settimane e che consiglierei, cito velocemente: Io sono ancora qui, Emilia Perez, Conclave, Maria, Anora, The brutalist, Giurato n. 2, Le assaggiatrici… Come si vede c’è da scegliere, e alcuni titoli li ho certamente dimenticati. Per questo, quando sono a casa, le serie tv le guardo con serenità. So che non tolgo nulla alle sale, anzi, credo di incentivare le mie curiosità. Già, perché ormai anche in tv – le piattaforme soprattutto – offrono lavori che hanno scrittura, immagine, capacità di racconto e recitazione di qualità, propria del cinema che conta. Qualche cinefilo forse salterà sulla sedia, ma credo che siano diversi i titoli in tv che possano essere visti senza sentirsi nel disagio del piccolo o grande tradimento. Per alcune serie ero partito parecchio prevenuto io stesso, considerando ardua la trasposizione del libro in film.

Su Sky ho trovato molto interessante M – Il figlio del secolo, sulla carta operazione molto rischiosa. Sto verificando la stessa cosa in L’arte della gioia (Sky Atlantic) che mi sta piacendo molto. La cosa più difficile dell’universo pensavo fosse fare una serie su Cent’anni di solitudine. Guardatela su Netflix, alcune cose della magia di uno dei romanzi più belli del Novecento restano. Su Amazon Prime La fantastica signora Maisel è irresistibile e anche Fleabag è godibilissima. Due storie di donne di grande presa. Potrei andare avanti molto, magari raccontando la piacevole sorpresa (non avevo grandi aspettative) vissuta con la storia degli 883: Chi ha ucciso l’Uomo Ragno? (Sky) o citare alla rinfusa e a memoria Casa di carta e Squid game (Netflix).

O su Sky Gangs of Milano, Yellowstone, Fargo, Petra, Romanzo criminale, The Young pope. Potrei a andare avanti raccontando il godimento di stravaccarsi su un divano e in un weekend spararsi di seguito quattro o cinque puntate di qualcosa che ci piace. Per poi magari uscire e andare al cinema. Beh, quello forse sarebbe troppo, ma si può sempre provare almeno una volta… In una recente intervista a un Tg Rai, Carlo Verdone dice che la serie tv “è sempre uno spettacolo cinematografico. È un cinema in casa. Convivono le due cose… Avevo pensato che le serie in qualche modo uccidessero il cinema in sala e invece il cinema in sala sta riprendendo decisamente pubblico”. Bene così, direi. Dicono: il futuro della tv è la radio. Diciamo: il futuro della tv è il cinema. Ma anche viceversa. The end.

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