Intervista a Paolo Hendel, in scena con “Niente Panico!” al Teatro Leonardo

«Di fronte alla realtà ridere di ciò che succede è un modo per capire, afferrare il quadro del momento».

«La scommessa è riuscire a ridere delle cose meno allegre, delle cose della vita che non ti piacciono, che ti fanno paura, che ti fanno arrabbiare, per esorcizzarle. Per me è un bisogno fisiologico perché poi si sta meglio». Paolo Hendel 74 anni compiuti il 2 gennaio sarà in scena al Teatro Leonardo dal 7 al 10 marzo con il nuovo spettacolo Niente panico!, monologo, nel segno di una dichiarata leggerezza come dichiara il titolo scritto insieme a Marco Vicari con la regia di Gioele Dix, per ridere e pensare.

Come descriverebbe lo spettacolo?

«È un viaggio comico tra paure pubbliche e paure private. Si sa, ogni epoca ha i suoi disastri e le sue guerre, ma finora, per quante cose brutte noi umani abbiamo combinato nei secoli, la nostra sopravvivenza su questo pianeta non era messa in dubbio. Le cose ora stanno rapidamente e pericolosamente cambiando. Il monologo ruota attorno alle visite quotidiane a un amico ricoverato in ospedale, al quale ogni volta racconto cosa succede nel mondo. I temi non mancano».

Che cosa le mette ansia nel mondo di oggi?

«Tutto, Basta accendere la tv su un canale e si parla del rischio della terza guerra mondiale, su un altro canale incombe il rischio ambientale, su un altro del progetto del ponte sullo stretto di Messina e scontro fra le correnti del Partito democratico. Anche il meteo è causa di ansie e di paure. Domani “sciabolata artica”. Nuova andata di caldo per il sopraggiungere di temibili anticicloni africani, Caronte, Lucifero, Nerone, il più efferato. Mi ha colpito il Papa che ha detto: “Tutto il mondo è in guerra e io sono pessimista”. D’altronde ha ragione. Certo, il Papa pessimista vuol dire che siamo messi proprio male»

Esorcizzare le paure, con la lente dell’ironia.

«La satira è una lettura delle cose che accadono, della vita, necessaria e vitale. Ecco, a me piace la satira – e quindi anche la comicità – quando è necessaria; quando parte da un bisogno: di fronte alla realtà ridere di ciò che succede è un modo per capire, afferrare il quadro del momento. Ridere – in particolare in teatro – è poi anche un modo per sentirsi meno soli. Se hai la fortuna di farlo a teatro insieme al pubblico, è una grande benedizione».

La sua paura più grande?

«Perdere il lato comico della vita».

La regia è firmata da firmata da Gioele Dix.

«È la sua terza regia. Giole mi ha cambiato la vita, il mio rapporto con il teatro. Ho conosciuto Gioele per caso quando sono andato dall’urologo, c’era anche lui in sala d’ aspetto, da li à nata una tenere amicizia (ride) ormai andiamo insieme a farci una controllatina alla prostata… Scherzi a parte, Gioele si è mostrato un prezioso compagno di giochi. Lui tiene a bada le mie esuberanze e quando esagero con le battute troppo spinte mi richiama all’ordine, dice sempre ‘Paolo al tuo buon cuore”».

È un monologo che fa ridere, ma a tratti commuove. A volte, le due cose insieme. Sentimentale e ironico, beffardo e intenerito.

«Gli ultimi 5 minuti dello spettacolo sono dedicati alla memoria Sergio Staino, recentemente scomparso dopo una lunga malattia. Un amico. Voce critica della sinistra, lucido e spesso poco ascoltato. In scena ci sarà un cartonato di Bobo (il personaggio immaginario creato dal disegnatore satirico). A volte faccio il conto di chi non c’è più. E scopro che tanti amici se ne vanno ultimamente. Questo è troppo per i miei gusti e allora ironizzo sulla morte per giocare con il pubblico ed esorcizzare tutto quello che ci pesa addosso. E mi chiedo: ma è possibile che con tutta la tecnologia non ci sia modo di comunicare con loro? Col 5G s’arriva dappertutto! Poi magari trovo una voce registrata: ‘Sono San Pietro e rispondo dall’Albania, come posso essere utile?’».

Sempre graffiante e sarcastico, nel 2018 ha scritto un libro “La giovinezza è sopravvalutata”. Cosa le è venuto in mente di affrontare un tema che, in genere, si preferisce rimuovere?

«C’è un solo modo per evitare di diventare vecchi: morire prima. Ma non mi sembra una gran soluzione. Non mi sento l’età che ho, forse anche perché sono un primiparo attempato, ho avuto mia figlia a 54 anni. Quello che conta è non perdere mai la curiosità, la passione, la capacità di indignarsi. Sono comunque contento di essere stato giovane, mi sono trovato bene, mi è piaciuto e se mi dovesse ricapitare lo rifarei anche volentieri».

Info

MTM teatro Leonardo, Via Andrea Maria Ampère, 1, 20131 Milano

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